A giugno del'87, ero a Lampedusa,sempre con quel mio amico, Franco. Avevamo un 3,80 Zodiac, rosso, Evinrude 35 cv, con il quale scorribandavamo, quando il mare lo permetteva, fino a Lampione o alla Secca di Levante. Facevamo delle gran belle pescate che, generalmente, davamo a una trattoria in cambio di una cena per tre. C'erano giorni nei quali non si poteva uscire, causa maestrale, quindi non si pescava, ma il furbo oste sapeva che poi si sarebbe rifatto abbondantemente. Ma, voi mi conoscete, non č delle grandi e multiformi catture che voglio parlare. Piuttosto di un episodio divertente, di cui fummo attori e spettatori allo stesso tempo.
Una sera, in porto, al nostro ritorno conoscemmo dei ragazzi di Roma che erano venuti a vedere il risultato dei nostri sforzi piscatori. Rimasero colpiti da due dentici di oltre tre kg e da una cernia di sette.Facemmo cosė amicizia e il giorno dopo ci incontrammo a mare. Nella loro ghiacciaia avevano una bella quantitā di saraghi, per cui io e Franco rimanemmo decisamente stupiti e ammirati. Li avevamo visti pescare, sempre sottocosta, uno in gommone e gli altri due in acqua, attaccati ai tubolari.
A quell'epoca non conoscevamo questa, diciamo , tecnica, cosė soprannominammo i tre "Gli Scopini", per questo loro battere il sotto costa con minuzia da operatore ecologico di strada cittadina.
Ma qualcosa, grazie alle nostre ricciole e dentici, in loro cambiō, perchč nel giro di un anno cominciarono a dedicarsi alla Pesca Subacquea.
Franco era uno che faceva aspetti a trentacinque metri con una invidiabile facilitā, quindi per me, che al massimo li facevo a ventisette, era inarrivabile. Figuratevi per gli Scopini che erano alle prime esperienze su fondali oltre i dodici metri, che razza di trauma fu venire a pescare con noi! Anche perchč, nelle giornate giuste, di pesce bello ne prendevamo veramente tanto. Attenzione,mai stragi. Perō la ricciola dai dodici in su con dentici e magari una cernia ci scappavano.
Franco era (tuttora penso che sia) un signor pescatore, perō aveva due guai: in acqua appena mossa soffriva il mal di mare e spesso le sue orecchie si bloccavano e non riusciva a compensare.
Ci trovavamo alla secca di Alaimo, circa alle sette di sera. Io per quel giorno avevo pescato abbastanza ed ero risalito a bordo. Susan rimetteva in ordine l'attrezzatura, io mi asciugavo e rivestivo e Franco, che quel giorno aveva preso poco, indugiava alla ricerca di qualche "salvacappotto". Il motivo della sua imbiancata era da ricercare nei capricci di un timpano che, una volta si e una no, gli impediva di equilibrare la pressione interna. In una di queste immersioni a mezz'acqua, a "soli" trentatre metri aveva intravisto un cernione di una ventina di chili, che tranquillo ( e te credo!) oziava sotto una specie di tettoia, subito battezzata "cengia" da Franco, formata dal gradino del pianoro di roccia che era poi il fondale a quasi trenta metri ai lati della secca.
Naturalmente venni subito informato della cosa e invitato perciō a ributtarmi in acqua. Idea che era nel posto pių lontano dai miei programmi, che mi parlavano, invece, di docce, sontuosa cena a base di spaghetti con le uova di cernia, dentice al sale e bottiglia di Donna Fugata.
Il caso, ma poi neanche tanto, volle che gli Scopini stessero rientrando e, visto lo Zodiac, si fermassero per un resoconto della giornata. A Franco non parve vero che due di loro indossassero ancora le mute e gli fu facile abbindolarli con queste parole: "Andate gių, ecco vedete" e con il fucile indicava il nulla, "sta sotto quella cengia. E' tranquilla, farā venticinque-trenta chili, e non sono pių di venti metri d'acqua. Regalata, vi dico che č facile e regalata". Aveva spudoratamente mentito, esagerando il peso e minimizzando la profonditā.
I due si guardarono in faccia, presero fiato e, insieme, andarono gių. Pochi secondi dopo: "scusa ma dove hai detto che č? perchč non si distingue bene il fondo..."
Franco con uno sforzo fece una capriola, scese e una volta tornato a galla disse:
"Ca..o, ma andate pių gių. Non pretenderete che oltre a regalata sia pure suicida! La vedete, č immobile sotto la cengia".
Quelli, confortati da questa notizia e anche per non fare cattiva figura ricominciarono a scendere. Prima uno poi l'altro. Dopo ogni tuffo, guadagnavano qualche centimetro e qualche secondo, ma della cernia sotto la cengia neanche l'ombra... anche perchč era mooolto pių in basso.
In tutto questo, io assistevo alla scena e ogni tanto dicevo che forse era il caso di tornare l'indomani.
Franco: "ma sei pazzo! quella č ferma (sotto la cengia), non si muove. Dai ragazzi non date retta..."
Infatti per un'altra mezz'ora quei poveracci fecero avanti e indietro, finchč uno dei due, al ritorno in superficie, spolmonato e con gli occhi di fuori disse:
" 'Gna a faccio...ma poi me dici che cazzo č 'sta cengia?"
Ora tutta la tensione e l'aspettativa, grazie anche all'intreccio delle cadenze dialettali milanesi e romane, sfociarono in una di quelle risate che a distanza di anni, quando ci penso, ancora ci fanno divertire con le lacime agli occhi.
Il cernione rimase sotto la sua cengia e non venne mai preso, almeno da noi.
Gli Scopini non hanno pių fatto scopinaggio (trainetta) e a tutt'oggi ogni tanto andiamo a pesca insieme. Anzi, uno di loro, che nel frattempo č anche diventato istruttore di pesca sub, me lo sono portato in Baja California per una zingarata di primavera.
Ma questa la raccontiamo un'altra volta.