| Poi ci furono gli incidenti. Gravi e meno gravi. Una volta un carichino mal posizionato, scivolò e l'arpione disossò il dito medio della mano dx di mio padre. Erano i tempi nei quali i gommoni non erano stati ancòra inventati, almeno al livello ludico-sportivo. Così ci portavamo sempre dietro un fuoribordo da 5 cv, da applicare alla poppa di qualche barca di pescatore disposto ad affittare il proprio "natante". Allora i pescatori erano pescatori veri, vivevano di pesca e basta, Non come oggi che spesso, a latere, c'hanno un ristorante o una pensione o una qualche altra attività. Non dico che facessero a gara per affittarti il gozzetto a remi, ma erano estremamente felici di farlo qualora glielo avessi chiesto. Bene, una volta a Serapo, trovammo uno di questi gozzi, ma il primo problema fu che la poppa era uguale alla prua, per cui il motore non si poteva montare. Il secondo problema fu, che il pescatore che ci dava in uso 'sta barca, aveva circa cento anni e volle a tutti i costi essere lui a remare per portarci sul luogo di pesca. Terzo inconveniente era che la succitata barca "assorbiva e immagazzinava" acqua come un Canadair. Alle nostre non del tutto infondate perplessità, il nocchiero seguitava a dire: "Date retta a questo vecchio marinaio". La fiducia vacillò di brutto quando l'acqua imbarcata era quasi uguale a quella che ci circondava. Tutto all'interno galeggiava in cinquanta cm di liquido Tirreno. Non so come tornammo a riva. Quasi. Sì, perchè nei pressi del bagnasciuga, un po' di risacca traversò il gozzo e una successiva ondata lo rovesciò, mandando a grandissime donne di malaffare tutto quello che c'era a bordo. Ancòra oggi, in qualche situazione "curiosa", ripetiamo la famosa frase: Date retta a questo vecchio marinaio! Un altro incidente, ma senz'altro assimilabile ai guai minori, fu l'atterraggio del piede del fuoribordo, con annesso motore of course, sull'alluce di un amico di papà, il quale non potè più andare in acqua per circa un mese. Anche perchè, dopo quel giorno, il ditone del poveretto venne preso accidentalmente, ma come per una maledizione, a bersaglio da tutti coloro che gli capitavano vicino! Vi ho raccontato che ero l'orgoglioso, anche se non del tutto convinto, possessore di un'arbalète Champion, Mi trovavo in crociera a Stromboli e ognitanto riuscivo anche ad andare a pesca. Con me c'era un mio coetaneo, figlio di un'amica di mia madre, che rimase affascinato dalla pesca subacquea. Mi veniva dietro, era ammirato dalle mie discese. Qualche volta tornavo anche con un pesce, per cui l'ammirazione crebbe. Unico cruccio era che lui non aveva un fucile. Combinazione volle, che tra una pinneggiata e l'altra, ci imbattessimo,adagiato sul fondo, in un fucile identico al mio. Si trattava di circa 17 metri di profondità. Il mio amico, mosso non so da quale meccanismo mentale, prese fiato e si fiondò a recuperare l'arma. In qualche modo arrivò giù, prese il fucile e tornò in superfcie. Era felice come una Pasqua, lui. Io ero allarmato dal sangue che gli usciva dagli occhi. Avevo vent'anni, non ero in grado di dare consigli o ammonimenti che non suonassero come una specie di invidia nei confronti di chi era riuscito a compiere un' impresa inaspettata da parte di un neofita. Gli dissi solo di non fare cose che potessero causargli degli incidenti. Poi contenti, in fondo, di poter pescare insieme, ci facemmo una risata e non ci pensammo più. L'anno dopo ero, al solito, a Lampedusa e mi telefonò mio padre. Mi disse che il mio amico, quello che aveva recuperato il fucile a diciassette metri, era morto a Stromboli, con la testa incastrata in una tana. Non dimenticherò mai sua madre. E scusate questo racconto.
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