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LA PESCA IN TANA, Tecniche di pesca

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view post Posted on 14/10/2016, 18:38




ahahhahhahaha!!
era nei miei pensieri il brevetto ... al momento ho il brevetto sa sub di 3 Liv ma non mi sono mai interessato di questo sport ... il nomesarà cambiato XD
 
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view post Posted on 15/10/2016, 05:33
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Spigolaro

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view post Posted on 10/9/2023, 20:39

Neofita

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Grazie mille! articolo di valore, per chi come me va a pesca sempre solo e purtroppo non ha mai avuto informazioni da nessuno, se non dal proprio istinto.
 
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view post Posted on 7/3/2024, 10:03
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Little Denticiaro

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Mi inserisco nella discussione e allego l'intero capitolo che sta sul mio libro "La Grande Avventura Della Pesca Subacquea", integrando l'ottimo articolo pubblicato in questo post.
Spero possano esserci consigli e spunti di riflessione interessanti per chi si voglia cimentare in questa tecnica :bye1.gif:



CITAZIONE
LA TECNICA DELLA PESCA IN TANA


Una delle tecniche più in voga nella pesca subacquea è la tecnica della pesca in tana. Praticata sin dagli albori della pesca sub, questa tecnica è stata via via affiancata da altre come l’aspetto e l’agguato.
Oggi relegata da alcuni come anacronistica, dato per assodato che le prede non si intanano più come un tempo, e ritenuta a torto poco sportiva, resta in realtà una tecnica principe per chi voglia ridurre le possibilità, oggi sempre maggiori, di tornare a terra con un carniere desolatamente vuoto.
Oggi è facile sentire pescasub, magari di primo pelo ma non solo, dire che preferiscono la grossa preda catturata sportivamente all’aspetto o all’agguato, pur con il rischio di tornare in secco con ripetuti e umilianti cappotti, che non andare a fare il minatore tra le pietre.
A me questa posizione è sempre parsa come uno sterile tentativo per giustificare le numerose battute a vuoto in cui i medesimi incappano.
A dirla tutta, ho sempre ritenuto che chi giustifichi il suo disappunto riguardo la pesca in tana con asserzioni sulla sportività, in realtà cerchi solo di giustificare la propria scarsa preparazione in questa tecnica.
Non capisco infatti il motivo per cui tale metodo di pesca debba essere considerato meno sportivo di altre tecniche come l’agguato o l’aspetto. Quasi che catturare un’orata intenta a cibarsi su uno scoglio, dimentica di tutto ciò che la circonda, o un branzino novello che viene a curiosarci attorno, sia più sportivo della cattura dello stesso pesce nella rara situazione che abbia deciso di rifugiarsi tra le rocce.
Ho sempre dato per scontato che un buon pescatore deve conoscere bene qualsiasi tecnica di pesca, senza pregiudizi e capace di adattarsi al momento contingente. L’obiettivo di chi fa pesca subacquea, lo dice il termine stesso, è pescare, ossia portare a casa delle prede valide, cioè il fine principale per il quale ci siamo immersi. Altrimenti … non definiamoci pescatori subacquei!

Chiarito questo mio pensiero, vediamo adesso di sviscerare al meglio questa primordiale e affascinante tecnica di pesca.
Inizierò dalle attrezzature usate, certamente valide per qualunque tecnica si decida di attuare, ma indubbiamente specifiche per la pesca in tana.



ATTREZZATURA


• MUTA

Preferibilmente da evitare il liscio spaccato. Il districarsi tra gli scogli e il continuo strusciarsi sulle asperità del fondo, sconsigliano l’uso di una muta così delicata. Meglio un foderato esterno e spaccato interno, o al limite una liscia spaccata con rinforzi alle braccia e alle gambe. Viceversa, prepariamoci a lunghe sedute di incollaggio e attrezziamoci di numerosi tubetti di mastice!
Altra cosa che non servirà è il tanto decantato, quanto secondo me inutile, mimetico. Nella pesca in tana essere mimetici ci servirà ancor meno di quanto già non serva nella pesca all’aspetto o all’agguato. Una muta nera andrà benissimo o, se si vuole utilizzare la solita muta, vada anche per il mimetico, ma con la consapevolezza che non servirà ad avvantaggiarci nostre battute di pesca.
Importante è attrezzarsi con dei buoni guanti, le mani saranno molto esposte a graffi e tagli sulle rocce, quindi optiamo per dei guanti robusti, che non ci impediscano la sensibilità sul grilletto, ma al contempo che ci proteggano a dovere. Anche i calzari sono consigliati, perché nell’entrare in tane ampie rischieremmo tagli alle caviglie o di trasformare le dita dei nostri piedi in puntaspilli a causa di qualche malaugurato contatto con un riccio.

• MASCHERA E BOCCAGLIO

La maschera dovrà essere comoda e che ci permetta di avere una buona visuale. In realtà quella normalmente usata, con la quale ormai abbiamo del feeling, andrà benissimo. Il boccaglio invece sarà bene che sia molto morbido e flessibile. Questo impedirà che, se non lo sfilassimo dal laccio della maschera, in un urto sulla roccia nell’entrare in una tana ci possa procurare indesiderati allagamenti, sempre spiacevoli soprattutto se la profondità a cui ci troviamo non è poca. Resta per la maschera il consiglio valido in genere per la pesca sub, evitare quelle in silicone trasparente, fonte di distrazioni luminose. Nella pesca in tana, dove dovremo adattare il più velocemente possibile l’occhio al buio degli anfratti, questo aspetto sarà ancora più importante da considerare. Inoltre sarà vitale che non entri neanche un filo d’acqua, perché nel muovere la testa in ogni direzione e a volte esplorando a testa in giù gli anfratti, vi assicuro che, avere anche poche gocce d’acqua all’interno della maschera, sarebbe un’autentica tortura!

• PINNE

Queste varieranno in base alle quote operative che affronteremo. Se esploreremo tane a quote modeste, diciamo entro i dieci metri, potremo evitare la costosa spesa delle pinne al carbonio. Non necessitando di spinte particolari, potremo optare per delle pinne medio lunghe in tecnopolimero, sempre utili per muoversi in superficie, ma comode nel muoversi a stretto contatto con il fondo. Se invece prevediamo di immergerci a quote importanti, allora sarà meglio orientarsi verso il carbonio. Tuttavia, dovremo scegliere sempre delle pinne di lunghezza media, quelle ultra lunghe così di moda, per pescare tra gli anfratti rocciosi sarebbero difatti un impedimento. Sbatterebbero di continuo, oltre al rischio concreto di incagliarsi in qualche spacca. Oltretutto le distruggeremmo in breve tempo, con buona pace del nostro portafoglio.

• FUCILE

Ecco, questo è un punto molto difficile da decifrare. Fucile lungo o corto? Aria o elastico? In realtà dipenderà molto dal tipo di fondale che andremo a perlustrare, così come dal tipo di preda che conteremo di incontrare.
Nel basso fondo, a pesce bianco e in presenza di spacche strette, andranno bene dei fucili corti, magari armati di fiocina se prevediamo tiri al volo ravvicinati e non ci fidiamo ciecamente della nostra mira. Personalmente ho sempre preferito la tahitiana, questo per garantirmi una maggiore gittata e un tiro più lungo del preventivato, pur pescando in tane strette e poco profonde. Se invece si scende più in profondità, sarà meglio un fucile medio, un 75 o un 90 centimetri. Le tane che esploreremo in genere saranno più ampie, e le probabilità di sorprendere qualche preda sull’uscio della tana ci consigliano l’uso di un’arma con una gittata maggiore. Circa l’uso di un arbalete o un fucile ad aria, resterà una nostra scelta in base all’arma che più ci è congeniale. Tuttavia, pure con un oleopneumatico, resta valido il consiglio di un’asta tahitiana al posto della fiocina. Unica accortezza da avere, usando un arbalete, è di fare attenzione, quando si spara e quando si infila l’arma sotto lo scoglio, che gli elastici non sbattano sulla roccia. Mi è capitato un paio di volte di tagliarli rovinosamente … e rimetterci la pescata!
Due parole anche sulle aste. Sconsigliata la doppia aletta, a meno di puntare a pesci di mole come la cernia, in quanto le probabilità di incagliare l’asta si moltiplicano. Sugli arbalete, la legatura della sagola non andrà effettuata sul foro più distante dal codolo, ma sul foro più vicino all’aggancio dell’asta. Non dovremo insagolare i pesci, e quando tireremo l’asta dalla tana eviteremo che il codolo si vada a incastrare, con probabile perdita di asta e … preda!
Il classico nodino di legatura dell’asta non va affatto bene, meglio l’asola con lo sleeve. Se incastriamo l’asta e non abbiamo l’apposito attrezzo, potremo cercare di fare forza sull’asola infilando un raffio o l’aletta di una seconda asta, e rendere il recupero possibile.
Per chiudere, consiglio vivamente di montare un mulinello, anche se peschiamo con fucili di media lunghezza. Se si spara un pesce di mole come una cernia, sarà comodo poter tirare in superficie il fucile e mettere in trazione il pesce ferito e arroccato nella roccia. Inoltre, in caso di acqua torbida, sarà utile per portare il fucile a galla ed evitarne la perdita nel caso non ritrovassimo più la tana.

• TORCIA

Piccola, maneggevole, con luce potente e fascio abbastanza largo. Dico largo perché spesso converrà usare proprio la parte di fascio periferico, quello meno concentrato, per scorgere le prede. Ormai il pesce ha metabolizzato che al fascio di luce fa subito seguito la fucilata, quindi se illumineremo la nostra probabile cattura con la parte più potente del fascio luminoso, prepariamoci a un suo veloce dileguarsi nel punto più inaccessibile della tana o a precipitosa fuga da qualche uscita secondaria. In realtà la torcia, strumento indispensabile nella pesca in tana, andrebbe usata solo se indispensabile, e sfruttare per quanto possibile il controluce offerto da eventuali altre aperture nella roccia. La torcia andrebbe usata solo dopo che un’accurata ispezione al buio non riveli nulla, giusto per controllare gli angoli più nascosti dell’anfratto. Da evitare quelle con interruttore a rotazione della parabola. Oltre ad essere molto più complessa l’accensione, rischieremmo di allagarla. Meglio il classico interruttore magnetico.
Un consiglio che do, se non ne è dotata, è di rivestirla bene con del neoprene. Eviteremo che picchiando sullo scoglio finisca per segnalare la nostra presenza alla preda, prima ancora di aver avuto modo di accenderla e perlustrare la tana.

• ZAVORRA

Dovrà essere perfetta per le quote alle quali contiamo di operare. Troppo pesanti rischieremo di incastrarci nella tana, oltre che sbatteremo di continuo tra gli scogli con conseguente allarme per le nostre prede, che avranno individuato la nostra presenza ben prima di essere operativi sulla tana. Di contro, se positivi saremo sempre lì a tenerci con la mano dalle rocce, cosa abbastanza complicata con una torcia al polso. Se si pesca a quote importanti, utilissimo sarà il piombo mobile, che ci farà arrivare giù più velocemente e senza sforzi, ci permetterà di lasciarlo una volta sul fondo per godere di maggiore libertà di movimento, e ci consentirà una risalita più veloce e sicura.
Attenzione, non deve servire per raggiungere quote maggiori di quelle che sono nostro appannaggio, ma di sfruttare al meglio e in sicurezza le apnee che condurremo alle nostre normali quote operative.
Questo anche perché la pesca in tana è certamente la tecnica di pesca subacquea più impegnativa fisicamente, sia in termini di sforzi sul fondo, sia in termini di acquaticità richiesta, pari a quella che occorre nella tecnica dell’agguato. Operare a stretto contatto con il fondo ci obbliga a prestare massima attenzione ad ogni nostro movimento, e non solo per non spaventare le prede, ma anche e soprattutto per la nostra incolumità e sicurezza.
Andare più fondi servirà a ben poco se poi non saremo lucidi e operativi, e gli sforzi comunque maggiori che sosterremo ci metteranno in grave pericolo. Per intenderci, se praticate l’aspetto o l’agguato a venti metri, in tana non spingetevi oltre i quindici metri. Gli sforzi maggiori da sostenere invitano a maggiore prudenza e a ridurre le quote di sicurezza personali. Pescare all’aspetto a trenta metri è certamente meno complicato di pescare in tana a quelle quote!
Dimentichiamo gli schienalini, pessimi per l’uso in tana, a meno di non voler usare uno di quelli molto stabili che bloccano la piastra alla cintura. Oltre che essere molto più sicuri, ci consentono infatti di sganciare tutta la zavorra con un unico gesto, sono anche molto più stabili e non tendono di continuo a scivolare sulla spalla. Ricordiamo che pescare in tana vuol dire fare molte contorsioni, non richieste nella pesca al libero. Ad ogni modo, se potremo evitarlo sarà tanto di guadagnato, visto che comunque sarebbe un orpello che potrebbe esporci potenzialmente al rischio di incaglio all’interno di qualche tana e offrire appiglio a lenze e reti di cui ormai i nostri fondali abbondano.
Infine optiamo per una cintura in gomma, magari non del tipo super elastico, che darebbe problemi nel caso si usasse un piombo mobile di generose proporzioni, ma comunque in gomma. Nel pescare in tana faremo spesso strane contorsioni, una cintura in fibra finirebbe per spostarsi di continuo, creando non pochi problemi e rendendo impossibile l’uso del piombo mobile.

• BOA DI SEGNALAZIONE

E’ uno strumento che oltre ad essere obbligo di legge, serve ad evitare di venire investiti dalle barche. Cerchiamo anche di renderlo utile alla nostra attività sportiva più di quanto non sia ai fini della sicurezza. Potremo legare una seconda arma, un’asta di scorta, un raffio e il cavetto porta pesci. Pescare in tana significa spesso incunearsi tra gli anfratti, un cavetto alla vita certamente è sconsigliabile da tenere, visto che abbiamo la comodità di poterlo legare al pallone.
Io trovo molto comodo inserirlo sul sagolone stesso della boa, di fatto diventa il terminale al pallone del sagolone stesso. Bastano due moschettoni e il gioco è fatto. Da un lato, quello dello spillone, ci agganciamo il terminale della sagola della boa, dall’altro agganciamo un moschettone che attaccheremo direttamente al pallone segnasub. Inoltre, sfruttiamo il sagolone per agganciavi o il piombo mobile, se decidiamo di pescare fondi, o un leggero piombo da mezzo chilo, utile per pedagnare un punto di interesse. Nelle tane conviene entrare con il meno possibile di orpelli addosso, quindi una volta sul fondo lasciamo il piombo e l’esplorazione della tana andrà fatta senza sagolone della boa tra le gambe, per evitare rischi di impiglio vari. Inoltre, in caso di acqua torbida, saremo sempre sicuri di ritrovare il punto ed eviteremo di perdere tuffi alla ricerca della tana trovata o, magari, del fucile rimasto giù con la preda.

• RAFFIO

Uno strumento conosciuto da tutti, ma in realtà che pochi adoperano. Nella pesca in tana può davvero essere utile. Sia per recuperare un’asta incastrata, sia per il recupero di una preda come la cernia. Il suo utilizzo, oltre a farci risparmiare tempo ed energie preziose, ci permetterà di operare a distanza maggiore da quella copribile dalle nostre braccia, e ci risparmierà i rischi di doverci a volte infilare in profondità nella tana.

• PEDAGNO

Questo piccolo accessorio, auto costruibile facilmente, consta in due estremità costituite da due sugheri da rete innestati su un tubo in plastica chiuso e sigillato, così da rimanere pieno di aria. Sul tubo, tra i due galleggianti, si avvolgeranno circa trenta metri di sagolino bianco. Anche i galleggianti dovranno essere bianchi, o viceversa provvederemo a verniciarli con della vernice spray bianca resistente all’acqua. Questo chiaramente per una facile visibilità. La sagola avrà un’estremità legata al tubo, su cui verrà arrotolata, e all’altra estremità legheremo un piombo di circa 300 gr., a cui inseriremo un elastico che terrà avvolto il tutto. Lo si può tenere in cintura, trattenuto con una fascia elastica al braccio, oppure se riusciamo a farlo di dimensioni contenute, anche sotto il bordo inferiore della giacca della muta, o sotto i bermuda se li usiamo. Il fine di questo piccolo accessorio è quello di marcare un punto interessante che abbiamo avvistato durante un tuffo particolarmente profondo, o per segnare una tana poco visibile dove abbiamo visto infilarsi qualche bella preda. Abbandonato sul fondo, il pedagno si svolgerà della sagola fino a raggiungere la superfice, lasciando per noi un filo d’Arianna da seguire nel tuffo successivo.



DOTI NECESSARIE


Inizio subito col dire che le doti possono essere innate in pochi fortunati, ma certamente apprese dai più. Per fare ciò basta usare l’intelligenza, cercare di mettere a frutto l’esperienza che si va via via accumulando, analizzare ogni situazione di pesca capitataci, con un’attenta osservazione del compagno più esperto. Qualunque tecnica può essere appresa. Basta comprenderla e inizialmente forzarsi a metterla in pratica. Alla lunga diverrà nostro bagaglio e una volta metabolizzata diverrà un automatismo nella nostra azione di caccia.
Ma quali sarebbero queste benedette doti per riuscire nella tecnica della pesca in tana e capire quale sia la pietra, in mezzo alle migliaia, abitata e come approcciarsi ad essa senza fare fuggire i suoi agognati inquilini?
Eccole:

• ACQUATICITA’

Sapersi muovere con la scioltezza di un pesce è dote necessaria alla base di qualunque tecnica di pesca subacquea. Serve anche per non spaventare le prede durante la discesa, l’appostamento, il muoversi tra i massi del fondo. Nella pesca in tana ci torna utile invece per muoversi nelle più disparate situazioni. Spesso, per controllare gli angoli più remoti di uno spacco, sarà necessario assumere posizioni inusuali. Inoltre saper entrare in una tana, e sapersi muovere con naturalezza e in sicurezza, con la calma necessaria, sarà possibile solo dopo aver acquisito tale dote. Anche l’autocontrollo necessario, nel caso di incastro, deriva dall’acquaticità. Sentirsi a proprio agio nel muoversi a stretto contatto della roccia, al buio di una tana, ci darà la tranquillità necessaria per risolvere un malaugurato inconveniente. Se non siamo tranquilli, evitiamo assolutamente di addentraci con il corpo sotto uno scoglio o in una fessura. Meglio proseguire e cercare tane più facili!
Ma come acquisire tale dote? Semplice … pratica, pratica e pratica!
E’ un po’ come andare in bicicletta. All’inizio saremo impacciati e timorosi, poi pian piano la padroneggeremo e diventeremo degli assi dei pedali. Ecco, a mare è la stessa cosa. L’importante e non voler strafare, tutto si apprende gradualmente.

Quindi evitiamo rischi inutili se non ci sentiamo sicuri di ciò che facciamo, a rimanere impigliati dentro uno spacco ci vuole nulla, e se non saremo tranquilli un simile inconveniente sarebbe gravissimo.

• FIUTO PER IL PESCE

Quante volte, nell’ascoltare di qualche bravo pescatore, si è udita la frase:” ha un fiuto pazzesco per il pesce” ?
Sfatiamo subito questa asserzione. Nessuno nasce con il fiuto per il pesce, non siamo cani da tartufo! In realtà quello che viene definito così altro non è che la somma di una serie di caratteristiche che il fortunato sub ha fatto sue nel corso degli anni. L’esperienza di certo riveste un ruolo principale, l’aver metabolizzato nel corso degli anni quali tipi di tane con determinate caratteristiche possano potenzialmente ospitare una preda, quali zone di fondale possano essere maggiormente frequentate dal pesce che vogliamo catturare, quali condizioni meteo marine, come correnti, temperatura dell’acqua e visibilità, possano farci trovare la tana piena invece che un misero spacco vuoto. Certo, non è semplice acquisire tali caratteristiche, ci vuole pazienza, intelligenza, capacità analitica di ciò che viviamo pescata dopo pescata e saper tirare fuori delle regole generiche che alla lunga risultano valide per farci concludere positivamente una battuta di pesca. In realtà tali regole le si è sentite dire, le si è lette chissà quante volte, eppure sembrano appannaggio di pochi eletti. Non è così, in realtà chi le ha, le ha acquisite solo dopo tanto impegno e perseveranza, dopo tante volte che le ha eseguite e messe in atto, fino a metabolizzarle e averle come bagaglio proprio di esperienza. Questo introduce un’altra delle caratteristiche di cui dicevo prima, che si va ad abbinare all’esperienza: la tenacia!
Non demordere mai, insistere e cercare di capire dove si sta sbagliando, trovare le giuste alternative, questo è fondamentale per acquisire sempre più successi, quindi esperienze positive, nelle nostre battute di pesca.
Cercare il pesce lungo le variazioni cromatiche del fondale, nelle zone ricche di mangianza o sovrastate dalle pallonate di monachelle, negli spacchi più bui e magari insignificanti del fondale, nelle zone d’ombra create da due massi accavallati, sotto il masso che ha un’apertura col fondo di sabbia dove sia visibile la culla creata dal continuo passare del pesce, nei pressi di uno scoglio chiaramente con della vegetazione strappata, segno dello strusciarsi di qualche grossa cernia, sotto il masso dove notiamo una murena, o un grongo, o una mustela, animali che segnalano la presenza di una tana buona per il pesce stanziale quale la cernia, ecc … ecc ... . Chi non ha mai letto o sentito di queste nozioni? Credo nessuno … ma poi chi si è prodigato a metterle in pratica battuta dopo battuta a prezzo di numerose delusioni? In pochi, penso. Ecco, così si accumula esperienza, grazie alla tenacia di provare e riprovare, di cercare le alternative corrette ai nostri fiaschi. Quando tali nozioni saranno divenute automatismi, con il crescere dell’esperienza, ecco che durante una battuta basta affidarsi all’intuito e all’istinto, i risultati spesso ci daranno ragione.
• CAPACITA’ ESPLORATIVE

Mi è capitato sovente di trovare pesce sotto un masso appena visitato da un compagno distratto. Talvolta la cosa mi ha perfino provocato imbarazzo, ma dietro il classico commento sulla fortuna da parte del compagno di pesca, ci sta una realtà ben diversa: la differente capacità esplorativa della tana.
Scordiamo la tana di saraghi strapiena, con i pesci che entrano ed escono dallo spacco con il cartello in spalla “siamo qui”. Certo, raramente ciò ancora può accadere, ma in sporadiche situazioni e in luoghi particolari. Chi li sa, li conserva gelosamente! Per lo più le tane saranno occupate da esemplari isolati o comunque da piccoli gruppi e spesso localizzarli all’interno richiederà una minuziosa esplorazione. Innanzi tutto converrà approcciare la potenziale tana a velocità di non aggressività. Ossia con una lenta planata scruteremo i bordi dello spacco, e magari si riuscirà a sorprendere qualche suo inquilino sull’uscio di casa e catturarlo senza gettare scompiglio in altri eventuali occupanti. Poi le tane andrebbero, dove possibile, affrontate con la testa rivolta verso il basso. Oltre a una migliore visuale dell’interno dello spacco, avremo anche il vantaggio di non mostrare alle potenziali prede tutto il nostro corpo che, ricordiamo, per i pesci è come un balenottero per noi! Mai accendere la torcia da subito, o addirittura da fuori, a meno che non abbiamo già visto il pesce entrare e vogliamo tentare un tiro al volo per evitare che si perda all’interno del buco. Prima guardiamo attentamente a torcia spenta, magari per sfruttare l’eventuale controluce offerto da altre aperture presenti nella tana, e solo dopo accendiamo la torcia per poter controllare gli angoli più bui e remoti della stessa. Peraltro, se entriamo a ventre in su, ci verrà più comodo l’ingresso nello spacco e il fuoriuscirne a ritroso. Chiaramente sono regole generiche, che talvolta non possono essere messe in atto per particolari conformazioni della tana, ma il cui valore è assodato. Ad esempio, un’altra regola generica è quella di affrontare il masso dal lato che da verso il largo. Il predatore più pericoloso che nel nostro mare i pesci incontrano è di certo il pescatore subacqueo, e nove volte su dieci l’attacco arriva dal lato che guarda la costa. State certi che le prede è da lì che ci attendono ed è da lì che saranno più guardinghe. Anche questo vale ovviamente in senso generale, dipende dalla conformazione del fondale e della tana su cui stiamo approcciando. Ma la regola è valida, ed ha un suo perché!

Altra regola è che se cerchiamo di cacciare un predatore, come ad esempio la cernia, certamente converrà esplorare le nicchie buie, che si creano dal sovrapporsi o dall’accostarsi di più massi, dal lato da cui tira la corrente. Saranno lì a fare l’agguato agli incauti pesciotti che avranno la sfortuna di rientrare nella loro dieta. Questo può portare a catture impensabili, come il grosso dentice dietro il masso, il barracuda sapiente, la spigolona furba. In tana ci si può trovare di tutto, anche tipi di prede che solitamente si cacciano in acqua libera. C’è un video, con due notissimi campioni spagnoli, che catturano una ventina di piccole ricciole in un’ampia tana su una parete rocciosa. All’interno ci staziona un grosso branco di questi pelagici. A me, poco tempo fa, mi capitò di strappare una riccioletta ... la ritrovai intanata e tremante in uno stretto spacco, da cui per tirarla dovetti prendere un fucile corto da tana che tenevo appeso al pallone. Sotto un masso pieno di grossi cefali, catturai un serra di quasi tre chili, capii che non era il cefalo più grosso del branco solo dopo averlo tirato in superficie. Su un relitto mi capitò addirittura una grossa ricciola sotto le lamiere. Dovetti stanarla come fosse una cernia!

• CAPACITA’ ORIENTATIVE

Questa dote è basilare, anche se oggi, con l’avvento del GPS, ha perso la sua indiscutibile importanza.
E’ risaputo quanto conti nella pesca subacquea il ritrovamento degli spot migliori e, nella pesca in tana in particolare, degli anfratti dove già si è trovato del pesce.
Le tane, nel tempo, ci regalano spesso gratificanti catture, soprattutto se sono di quelle buone. Lo sanno bene gli agonisti, ma anche chi pratica spesso le stesse zone di mare. Come detto, oggi questa dote è stata soppiantata dall’uso del GPS, sia che si abbia un’imbarcazione, sia che si usino le gambe. E’ facile vedere sotto le boe di numerosi pescatori il GPS inserito in custodia e legato alla stessa. Certo, così tutto è più semplice, tuttavia personalmente preferisco usare il vecchio e sempre valido sistema delle mire, sicuramente più immediato.
Prenderle in realtà è semplicissimo, basta solo un po’ di pratica, magari da fare anche a terra. Ricordo che quando ero ragazzo mi allenavo a questo anche quando ero in montagna. Bastava segnare con una X in terra il punto scelto, prendere le mire e allontanarsi. Quindi cercare le giuste collocazioni delle mire prese e ritornare sulla X, ovviamente senza barare guardando in terra!
L’importante è prendere mire che siano sicure nel tempo, e magari che siano, una a destra e una a sinistra del punto, a buona distanza tra loro.
Le regole sono semplici: per due punti passa una sola retta, la mira, e due rette si intersecano in un solo punto, il nostro spot.
Anche se proprio siamo negati a prenderle, e senza GPS, basta usare la ormai sempre presente videocamera. Una panoramica, e poi a casa si prendono le mire con calma. Se si ha l’imbarcazione, anche una foto col cellulare potrà andare più che bene. Utili infine le classiche lavagnette, reperibili sul mercato o facilmente creabili, basta un pezzo di plastica ruvida e una matita. Potremo tenerle sotto il pallone o in barca.
Ma capacità orientative non include solo l’abilità del prendere le mire a terra. Anche sapersi muovere seguendo il fondale, se ovviamente la visibilità e la profondità ce lo consentono. Anzi, se il posto lo conosciamo bene, potrebbe essere ancor più semplice ritrovare il giusto masso o la giusta crepa nella roccia, che non con l’osservazione della costa. Per fare ciò basterà impegnarsi in un’accurata osservazione della zona, cercando massi dalla forma particolare e che ci colpiscono più di altri. Si può fare anche mentre nuotiamo in superficie, così da crearsi mentalmente un tragitto ben definito.
In conclusione, anche il sapersi orientare è una dote che in alcuni è più presente che in altri, ma pure questa può essere facilmente acquisita, basta averne la voglia e impegnarsi un po’ con l’allenamento.
A seguire andrò a spiegare i vari tipi di fondale e l’approccio che dovremo avere a seconda di dove ci troviamo ad effettuare la nostra battuta di pesca, anche con l’analisi delle possibili prede e del loro comportamento …



PESCARE IN BASE AL TIPO DI FONDALE


La bellezza della nostra passione è dovuta a una serie di fattori talvolta soggettivi e di comprensione sfuggente. Certamente un fascino particolare è legato alla varietà di fondali che ci troviamo ad affrontare, cosa che porta a vivere situazioni spesso uniche, che richiedono pure abilità e capacità molto diverse tra loro. Il buon pescatore è di sicuro colui che più facilmente si adatta a tali situazioni, senza dubbio aiutato da un buon bagaglio di esperienza.
Nella pesca in tana ciò è forse più evidente che con altre tecniche, questo perché,in base al tipo di fondale che ci troviamo ad affrontare, cambierà la conformazione delle tane, il comportamento dei pesci e, di conseguenza, il nostro approccio venatorio.
Dato per assodato che, molto spesso, nella stessa battuta di pesca capiterà di visitare tipologie diverse di fondale, ritengo importante sapere come comportarsi un po’ in tutte le situazioni, fermo restando che alcuni tipi di fondale, alla fine, ci risulteranno più congeniali di altri.
Cercherò di schematizzare, per quanto possibile, gli ambienti che in genere capita di affrontare, analizzerò le caratteristiche degli stessi, le prede che più frequentemente si possono incontrare, e le tecniche di approccio migliori in base alla tipologia di anfratti che potranno capitare.

• LA FRANATA

Le franate di massi sono una caratteristica molto frequente nei nostri fondali. Si tratta di massi di dimensioni variabili, accavallati gli uni sugli altri, che con pendenza variabile vanno a precipitare verso profondità maggiori. In questa loro composizione, danno vita a un vero e proprio labirinto di anfratti e cunicoli, collegati tra loro, che davvero rappresentano ai più un vero rompicapo.
Localizzarle, nel caso si pescasse in luoghi a noi sconosciuti, è abbastanza semplice. Basta osservare con attenzione la linea costiera. In genere già da terra, se guardiamo la costa, potremo intuire dove l’accavallarsi di scogli possa proseguire anche sotto la superfice marina.
Senza dubbio è il tipo di fondale più complicato da affrontare con la tecnica della pesca in tana, e ciò oltre che per il numero spropositato delle stesse, anche per l’abitudine dei pinnuti a muoversi di continuo nel dedalo di buchi e cunicoli presenti.
Di contro, proprio la sicurezza offerta da una buona copertura, oltre alla facilità di spostarsi senza pericolo di quota alla ricerca di cibo e acque più ossigenate, porta questo tipo di fondale ad essere uno dei più preferiti dalle nostre prede.
Potremo incontrare praticamente tutti i tipi di pesce di nostro interesse. Il pesce bianco la farà da padrone, con saraghi e cefali che certamente avvisteremo con facilità, la stessa che impiegheranno loro a sparire all’interno della frana. Dimentichiamo la possibilità di trovare l’anfratto con il branco di saraghi o di cefali, in attesa di essere decimati da noi. Potrà capitare di incrociare un branco di tali prede sotto qualche bel masso, possibilmente che presenti più uscite, ma state certi che dopo il primo sparo lo scoglio diverrà un deserto. Sarà necessario essere molto veloci e precisi nell’esecuzione della nostra azione, considerato che avremo solo qualche secondo per poter premere il grilletto, prima che l’intero branco fluisca fuori dal masso o svincoli tra i cunicoli con esso comunicanti. Velocità di sparo, ma anche velocità di scelta, o si finisce come con i branchi di pesce nella pesca al libero, dove l’indecisione potrà portarci a sbagliare il tiro o, peggio ancora, a non trovare l’attimo per sferrarlo.
Se saremo riusciti a catturare la nostra preda, sempre velocemente riponiamola nel cavetto, e iniziamo in rapida successione a sommozzare nei buchi vicini. Spesso potrà capitare di riuscire in una seconda cattura, se avremo la fortuna di incrociare qualche fuggiasco a passare davanti all’apertura visitata. Dopo qualche minuto infatti potete stare certi che l’intera area sarà vuota di pesci, già in fuga ben lontani da noi.
Anche le spigole incrociano questo tipo di fondale e sovente si intanano. Le troveremo sotto i massi più grossi, quelli con le aperture più ampie, sempre pronte a sgattaiolare fuori, ma con una lentezza tale che ci consentirà qualche tiro.
La torcia, in tale tipo di fondo, sarà usata poco o nulla, visto che usare il controluce risulterà più produttivo. Spaventeremo meno le eventuali prede, che tenderanno a spostarsi più lentamente, a vantaggio della nostra mira.
Orate e corvine saranno anche loro presenti, ma mentre le prime le troveremo spesso immobili nelle spacche più strette, possibilmente quelle alla base degli scogli, che abbiano un fondo di sabbia, le seconde le vedremo in lento movimento sui massi, pronte a sparire nei meandri della frana.
Qui apro una parentesi, esistono due tipi di frana, quella monostrato, ossia massi accavallati tra loro che poggiano su un fondo di sabbia o ghiaia, e quella multistrato, dove i massi poggiano su altri massi così da creare più strati di roccia. Ovviamente il secondo tipo risulterà decisamente più complicato da affrontare, anche se spesso sarà quello che ci offrirà le migliori sorprese.
Potrà capitare di vedere già dalla superfice le nostre prede muoversi tra i massi o sopra di essi, e che si intanino appena ci avranno percepito. In tal caso dobbiamo essere veloci a sommozzare senza perdere tempo, anziché puntare dove abbiamo visto sparire il pesce, cerchiamo di anticiparlo affacciandoci da un’apertura prossima a quella in cui lo abbiamo visto entrare. Se abbiamo calcolato la giusta direzione presa dalla preda, non sarà improbabile vederla scorrere davanti alla punta della nostra arma.
Chiaramente, se presente nella zona, mettiamo in conto l’incontro con la cernia, in questo tipo di fondo è molto probabile e a volte con esemplari di buona taglia anche in poca acqua. Come del resto tutti i pesci, anche la cernia predilige le acque ossigenate del bassofondo, dove peraltro può facilmente catturare le sue prede per nutrirsi. Facilitata nel potersi muovere tra i massi, spesso li risale e occupa tane di caccia in acqua bassa, per poi tornarsene a quote maggiori in tutta sicurezza e con la pancia piena.
L’ideale è poterla sparare al volo all’imboccatura di una tana, oppure se la troviamo sotto qualche massone a fare l’agguato a qualche incauto pescetto. Anche qui la velocità di esecuzione sarà importante, così come la velocità di messa in trazione o di estrazione, se ci riesce, nello stesso tuffo dello sparo. Una cernia ferita, che riesce a prendersi metri di sagola e incunearsi profondamente nella franata, il più delle volte sarà un pesce perso, ucciso inutilmente, o diverrà comunque una fonte di supplizio nelle ore a seguire nel tentativo di estrarla.
Ecco perché personalmente uso un solo giro di sagola sui fucili, proprio per poter avere maggiori possibilità di mettere il pescione subito in trazione. Oltretutto in tana difficilmente spareremo a una distanza tale da richiedere il doppio giro di sagola sull’arma.
Io quando affronto la franata uso alcune tecniche e astuzie che illustro. Se si tratta di una franata con massi piccoli, magari non molto profonda, e che difficilmente ospita la cernia, preferisco usare un 75 mono elastico armato di fiocina. L’elastico sarà da 17,5 o 18 mm di diametro, l’asta da 6,5 e la fiocina possibilmente a 4 punte. Gioco molto sul ritmo e inizio a sommozzare con costanza per riuscire nello stesso tuffo a visitare più aperture possibili. Cerco anche le zone dove il fondale cambia colore, dove magari ci sia la zona di roccia più chiara o dove ci siano punti con massi non coperti di vegetazione, e ne esploro i confini con la zona di roccia più scura o con i massi ricoperti di alga. Con tale tecnica, in genere riesco a fare diverse catture di pesce bianco. E’ una tecnica veloce, con brevi apnee e tuffi ravvicinati, dove il ritmo ricopre un ruolo fondamentale. La adopero principalmente in inverno, dove posso contare su una maggiore concentrazione di pesce bianco e dove il ritmo delle sommozzate mi aiuta a combattere l’intorpidimento dovuto alle basse temperature dell’acqua.
L’approccio ai massi lo compio sempre, dove possibile, dalla parte rivolta al largo, in genere il punto da cui la preda meno aspetta ostilità, e tengo conto del sole. Arrivare sullo scoglio, con la nostra ombra che ci precede, non è certo il miglior biglietto da visita per incontrare il pesce e sperare di trovarlo tranquillo e immobile sotto il masso. L’esplorazione degli anfratti va fatta rigorosamente a testa in giù, questo oltre che per allarmare il meno possibile eventuali occupanti lo spacco, anche per avere una migliore visuale dell’interno dello stesso. I cefali e le spigole, in genere, li troveremo sotto massi piatti, abbastanza aperti e tenderanno ad occupare la parte alta dell’anfratto. Spesso mi è capitato a un primo sguardo di non scorgere la preda vista intanare, per poi grazie a un’osservazione migliore trovarla quasi a contatto con la volta del masso!
Se invece prevedo la possibilità di incontrare la cernia, cambio approccio e cambio anche modello di arma. Questo vale anche nella pesca estiva, quando gioco forza aumentano le quote operative, il pesce bianco tende ad essere meno incline a farsi avvistare, e si cerca maggiormente la preda di taglia importante.
In tali casi sostituisco il 75 con un 90 doppio elastico, e uso una tahitiana doppia aletta. Chiaramente so di rischiare maggiormente un incaglio dell’asta, ma ho maggiore sicurezza della tenuta sul pesce nel caso capitasse una grossa cernia.
Aumentano le quote come detto, quindi diminuisco il ritmo, privilegio apnee più preparate e quindi più lunghe e mirate su massi che attraggono maggiormente la mia attenzione. Do preferenza a quegli scogli che accavallati gli uni sugli altri vanno a formare una sorta di gradini verso il fondo, e scelgo in genere di visitare il gradino più in basso, per osservare poi verso l’alto. Capita così di incrociare qualche grossa cernia intenta ad agguatare il suo pranzo … che invece finisce agguatata! Scelgo anche zone dove noto lo scoglio nudo da alghe o incrostazioni, segno del passaggio, dello strusciamento, o dell’appostamento di un grosso pesce. Anche alla tana mi approccio in modo diverso, cerco già in fase di accostamento di scrutare nella penombra dell’ingresso visitato, pronto a premere il grilletto nel caso intraveda la sagoma di una cernia. Infine, particolare attenzione la dedico in fase di discesa ad eventuali sbuffi di sedimento, segno che una preda all’interno della frana mi ha avvertito e si stia spostando. In tale caso tento anche qui di anticipare il movimento del pesce, e cerco un’apertura adiacente nella direzione che immagino abbia preso l’eventuale preda.
Insomma … le franate sono croce e delizia per il pescasub che decida di affrontare i suoi occultati labirinti, ma con la perseveranza, l’aumentare dell’esperienza e una concentrazione sempre alta, le belle catture non mancheranno di certo!

• FONDALE DI MASSI MISTI A SABBIA

Questo tipo di fondale è un classico ambiente dove poter pescare in tana e contare su una minore mobilità delle nostre prede. Fondali simili li potremo trovare sia in acqua bassa, dove nei mesi invernali si potrà tentare qualche bella cattura di pesce bianco, sia a quote maggiori, come le secche in mezzo al mare oppure ai piedi delle franate, dove la roccia in talune zone lascia il posto alla sabbia, ma gradualmente con gli ultimi massi che si vanno via via diradando nel mare di sabbia.
Nel primo caso, se siamo in acqua bassa, le catture maggiori riservate dalla pesca in tana saranno per lo più saraghi, cefali, spigole, orate, e serpentiformi come murene e gronghi. Questo tipo di fondale, a meno di pescare in qualche zona, sempre più inesistente, che sia poco frequentata, andrebbe affrontato soprattutto nei mesi invernali. Sia per la maggiore presenza in acqua bassa delle prede di cui dicevo, sia perché risulteranno meno disturbate di quanto lo siano nei mesi estivi. Oltre infatti al disturbo di un maggior numero di pescatori subacquei, ai nostri amici pinnuti non sarà gradito neanche il disturbo dei bagnanti e delle barche e barchini vari. In più, nei mesi estivi, saranno zone proibite in quanto si è obbligati ad operare a distanza dalla linea di costa, in genere spiagge gremite di bagnanti.
In tale fondale io preferisco utilizzare arbalete da 75 o 90 cm., mono elastico da 17,5 e tahitiana. La fiocina solo nel caso di frequenti incontri con i cefali, solitamente più complicati sia per la loro mobilità sotto i massi, sia per la sagoma affusolata. Sui saraghi invece, considerato che su questo tipo di fondale esiste la concreta possibilità di incontrare la tana mastra, con dentro molti esemplari, preferisco l’asta tahitiana, che non di rado mi consente anche qualche bella coppiola se non tripletta. Nel caso di una simile evenienza, si potrà bloccare il branco all’interno della tana con un semplice espediente, basta lasciare sul fondo, davanti all’ingresso, un’asta libera dal fucile di una seconda arma. La sagola tesa dall’arma, che tende a galleggiare, basterà a intimorire i pinnuti e costringerli all’interno. Oppure si può usare la sagola della nostra boa, alla cui estremità avremo legato un piombo.
Se agiamo così, avremo possibilità di effettuare più catture, ma sempre senza dimenticare il buonsenso, sia nel rispetto dei limiti di legge sulla quantità del pescato, sia per non svuotare la tana da cui preleveremo solo gli esemplari migliori. Una tana svuotata lo resterà a lungo, a volte per anni se non per sempre. Una tana mastra da cui effettuiamo un prelievo selettivo e intelligente, ci consentirà altre catture nel tempo e rimarrà buona e da segnarsi, in futuro ci potrà risolvere una battuta di pesca poco felice. Essere buoni pescatori, significa anche questo … viceversa, se non sappiamo preservare i nostri spot di pesca, siamo solo ingordi raccoglitori o poco più!
Anche su spigole e orate preferisco la tahitiana, in quanto tali prede possono facilmente raggiungere taglie importanti e, se armati di fiocina, nel caso di un tiro lungo aumenterebbe il rischio di disarpionare la preda. Del resto, in genere, sia le spigole che le orate, se intanate su questo tipo di fondale, tenderanno a restare immobili sotto al masso, e noi potremo mirare con comodo.
Sui cefali, come detto, preferisco invece la fiocina, rigorosamente a 4 punte, per una migliore gittata e un miglior equilibrio dell’asta, che con un 5 punte sarebbe compromessa col rischio di padelle clamorose, e per una maggiore tenuta che un 3 punte non garantirebbe. Se la zona è ricca di questo pesce, cerco di tenere un alto ritmo di sommozzate, scorro rapidamente le tane e osservo soprattutto le parti alte delle stesse, nei pressi della volta. Spesso i muggini saranno, immobili e tremanti, proprio in tale zona, pronti a spostarsi rapidamente e sgattaiolare fuori appena percepito il pericolo.
Murene e gronghi saranno pure presenti, in tali tane saranno anche facilmente estraibili, dato che il fondo sabbioso ci aiuterà e impedirà loro di incastrasi e fare forza per non essere tirati fuori. Ovviamente spariamoli solo se di testa, o rischieremo di faticare nell’estrazione e soprattutto nel riporli nel cavetto, col rischio di morsi dolorosi.
Un’ultima nota, su tale tipo di fondo la pesca in tana ha chiaramente un senso solo in condizioni di mare calmo. Viceversa, a causa del disturbo imposto dal moto ondoso all’interno delle tane, gireremmo solo anfratti desolatamente vuoti. In condizioni invece di mare calmo, e magari con vento da terra, una esplorazione veloce a ritmo sostenuto potrebbe donarci una bella pescata.
Una tattica che adopero in tali frangenti, oltre a un metodico controllo delle aperture presenti alla base dei massi, o i punti di contatto tra essi, presto molta attenzione attorno a me. Spesso si avvista dall’alto un sarago o un cefalo, così come anche un’orata o una spigola. In tale caso inizio una manovra di pressione sulla preda a distanza, cercando di stringerla verso terra. Capita così di riuscire a portarla a intanarsi. In tali casi conviene la massima rapidità, in quanto potrete strare sicuri che dopo qualche secondo il pesce ne uscirà, per riprendere a sgattaiolare tra i massi per farci perdere le sue tracce. Inoltre, con questo metodo, mi è capitato spesso di seguire qualche bel sarago che, alla fine, mi ha portato su qualche tana mastra, dove ho risolto alla grande la mia battuta di pesca. Situazioni sempre più rare, ma in talune zone ancora possibili! (Senza l’uso distorto degli acquascooter, a mio parere simbolo di antisportività e colpevoli della desertificazione del sottocosta!)
Altro discorso è invece se tale tipo di fondale è a profondità importanti, come il caso di cui dicevo all’inizio, alla base delle franate, oppure nel caso di secche in mezzo al mare. In tali casi la presenza del pesce bianco è pressoché garantita anche nei mesi estivi, periodo in cui peraltro ci troveremo ad operare, visto che tali luoghi nei mesi invernali saranno da evitare per le maggiori profondità e per l’uso di una zavorra maggiore a causa dello spessore della muta indossata. E poi, in inverno, le secche sono notoriamente più avare di pesce bianco, la cui presenza è invece molto più costante in acque basse.
In tali situazioni, oltre alle prede di cui ho già parlato, sarà probabile, se la zona le fa, la presenza delle cernie.
La cernia in tali zone è generalmente la preda più cercata nella pesca in tana, spesso anche con esemplari di grossa mole. Su tali fondali preferisco avere un’arma lunga in mano, possibilmente munita di doppio elastico e tahitiana doppia aletta. Alla boa, o sul gommone, un arbalete da 75 o 90, nel caso di operare su una tana di pesce bianco o per assestare un secondo colpo a qualche grossa cernia. Il fucile lungo lo preferisco per due motivi, intanto perché posso tentare un eventuale tiro in caduta al pescione, magari nel tentare di anticiparne l’ingresso in tana, e poi perché la cernia richiede molta forza di penetrazione, e un’asta pesante con dei buoni elastici ne sono maggiore garanzia, e poi nel caso di una tana che può essere anche abbastanza profonda da obbligarci a un tiro lungo. Del resto, su questo tipo di fondale, se si avvista un pesce già in tana, molto spesso tenderà a non muoversi dalla posizione assunta, in genere nel punto più occultato dell’anfratto. In tale caso, se il tiro è ravvicinato, posso comunque cambiare arma e prendere quella più congeniale. Varrà sempre la regola di cercare da colpire la testa del pesce, per evitare estenuanti sommozzate per cercare di portare la preda in superfice, cosa che ci esporrebbe a rischio. Va comunque detto che in questo tipo di tane generalmente abbiamo il fondo di sabbia, e questo ci aiuterà non poco nell’estrazione del pesce, impedito nell’arroccamento. Il modo migliore di operare, nel caso di una cernia incastrata, è quello di metterla in trazione con la boa, e riposarci tranquillamente in superfice. Se colpita bene, è molto probabile che la semplice trazione costante ci consenta nel giro di qualche decina di minuti di salparla direttamente dalla superfice. Il pesce, nel suo spostarsi per tentare di non perdere l’appiglio sulla roccia, reso complicato dal fondo di sabbia, se in trazione, finirà per perdere centimetro dopo centimetro, fino a venir fuori come un tappo da una bottiglia di spumante!
Un trucco che potrebbe essere valido in un fondale con tali caratteristiche, nel caso di pesce malamente incastrato, è quello di tagliare la sagola e legarci due, tre chili di piombo, e abbandonare tutto sul fondo. Se torniamo dopo qualche ora, o l’indomani, molto probabilmente troveremo il pesce morto fuori dalla tana, e potremo quindi scendere e salparlo senza sforzo. Se ferita infatti, e non in trazione, la cernia dopo un certo tempo tenderà a cercare la fuga all’esterno nell’ultimo tentativo di liberarsi dall’asta, e finirà così per morire fuori dalla tana, trattenuta dal piombo legato allo spezzone di sagola legato all’asta. Chiaramente ciò è possibile se l’asta stessa non blocca il pesce. In tal caso, le probabilità di concludere positivamente la cattura scemano drasticamente!
Ultima nota, con un fondale di massi e sabbia, se si tratta di una secca al largo, maggiore attenzione dovremo prestarla ai confini esterni della secca, è qui che con molta probabilità troveremo più concentrazione di vita e avremo la probabile presenza delle prede migliori che il sito possa offrirci. Inoltre, una particolare cura andrà prestata alla ricerca di piccoli agglomerati di scogli isolati sulla sabbia, ai margini della secca. Spesso il jolly è qui che dimora!

• FONDALE DI ROCCIA E ALGA

Fondale all’apparenza semplice, ma in realtà complicato e tutto da interpretare.
Generalmente questo tipo di fondo si presenta con ampie distese di roccia, più o meno pianeggianti, ricoperto a tratti da folti banchi di posidonia. Le profondità affrontate sono di solito medio alte, elemento che rende la battuta di pesca impegnativa. All’apparenza deserto di specie bentoniche, questo ambiente può invece regalare sorprese inaspettate e riservare tane mastre da preservare e sfruttare per anni. Qui è indispensabile la torcia, anche molto potente e con un fascio luminoso concentrato, capace di farci esplorare le spacche strette e profonde che spesso fanno da ingresso a cavità ben più ampie.
Una caratteristica di questo fondale è di apparire avaro di tane abitabili. Poche spacche, molte nicchie chiuse o false tane. A volte ciò può portare a una delusione precoce e alla perdita di concentrazione. Nulla di più sbagliato! In tali luoghi l’importanza di saper esplorare e possedere un buon istinto di caccia, potrà invece regalarci eccezionali pescate. La presenza della posidonia porta ossigenazione alle acque e attira molta mangianza. Tutto ciò, non potrà che attirare prede di nostro interesse, prede che tuttavia, vista la presenza di ampi tratti privi di copertura, si muoveranno con particolare cautela. Le prede insidiabili spaziano dal pesce bianco alle cernie, con particolare abbondanza di corvine, tordi e mustele, oltre agli onnipresenti serpentiformi. In tale contesto, io cerco di effettuare un’attenta analisi dall’alto, se la visibilità lo consente, alla ricerca dei punti dove vi sia maggiore concentrazione di vita, o la promessa di una bella tana. Molta attenzione va data ai bordi dei boschi di posidonia, dove marvizzi e corvine saranno le prede maggiormente insidiabili, oltre alla sempre possibile presenza di qualche bel sarago. Spesso infatti sotto la posidonia la roccia è spaccata, e ospita tane di fatto invisibili, ma che potranno essere svelate proprio dalla presenza di qualche esemplare che volteggia all’esterno, sulla prateria o ai suoi bordi. Generalmente questo tipo di fondale appare abbastanza uniforme, tuttavia sovente presenta un ondulamento della roccia che in talune zone si solleva dal fondo, a volte anche di alcuni metri. Queste zone vanno osservate con attenzione, visto che spesso sotto la roccia è vuota e, neanche a dirlo, nelle cavità probabilmente si cela l’obiettivo della nostra ricerca. Quando trovo una simile conformazione, inizio a scorrere dall’alto queste protuberanze della roccia, che spesso finiscono per creare dei lunghi canaloni, canaloni che a volte presentano sui bordi lunghe fessure orizzontali, tagli verticali, punti dove la roccia spacca magari creando lastre staccate dal corpo principale e ben fessurate. Queste zone possono celare saraghi, corvine, cefali o qualche spigola, ben nascosti alla nostra vista. A volte, sua maestà la cernia! Una volta individuato lo spacco, con calma immergiamoci, e iniziamo l’esplorazione. Potremo avere la delusione di scoprire che si tratta di una falsa apertura, ma può capitare di trovare cavità enormi e articolate che si addentrano nel substrato roccioso. Nel primo caso, superiamo la delusione, e un’occhiata attenta diamola, qualche bel tordo o qualche sarago mimetizzato all’interno di queste aree sono tutt’altro che rari. Nell’altra eventualità invece, iniziamo ad esplorare con calma l’apertura che si inoltra nella roccia, grazie anche all’uso della torcia. Qui la bella sorpresa è una reale possibilità, anche l’incontro con qualche cernia. Io in questi fondali preferisco impugnare un fucile di 90 o 100 cm., proprio perché può servire un tiro lungo nel caso di tane molto profonde. Ovviamente, conoscendo il luogo, opteremo per l’arma che ci risulterà più versatile. Nel caso di corvine o saraghi conviene tirare agli esemplari più isolati, questo per evitare una fuga immediata verso i punti meno accessibili della tana, purtroppo in questi fondali per noi punti non visionabili. Così facendo invece avremo qualche chance di portare a termine più di una cattura. Altra zona da cercare è il bordo della distesa di roccia verso il largo, dove a volte questa rompe sulla sabbia, creando dei gradini molte volte fessurati. Questi in realtà sono i punti più interessanti di queste zone e dove spesso si trovano le prede più belle. Di contro, sono anche i più profondi, aspetto che rende impegnative le nostre apnee. In questi punti, peraltro, abbonderanno i serpentiformi, talvolta pure di mole notevole.



• IL GROTTO

Fondale complicato, letteralmente cervellotico, ma che per chi ci si abitua a pescare sarà foriero di splendide catture.
E’ il regno dei saraghi, delle corvine, delle orate. A volte ammassati in spazi talmente angusti da farci chiedere come ci siano potuti entrare.
Sono ampie porzioni di fondale, molto comuni sulle coste laziali o toscane, ma anche in puglia o sulla costa ionica calabrese, come anche in diverse località della Sicilia, che si presentano omogenee, tutte traforate e con un’infinita serie di creste e canali che ricordano la conformazione di un cervello. La roccia ha scarsa consistenza, tanto da poter essere spesso rotta con le mani. La pesca più produttiva in tali siti è l’uso di un fucile corto, da 60 cm, al massimo un 75. La torcia può tornare utile, ma il più delle volte non la useremo neanche. Si pesca a scorrere, con rapide sommozzate e si controllerà con attenzione certosina tutte le micro spacche nella roccia tufacea. In genere si sorprenderanno saraghi, tordi e corvine. D’obbligo il 4 punte, in quanto si sparerà spesso pesci messi di taglio e che quindi offriranno bersagli ridotti. Anche su questo tipo di fondo converrà seguire le morzate di tufo, che in alcuni punti si solleveranno dal fondo creando a volte spettacolari gradini tutti spaccati e traforati. Qui, se anche la profondità è importante, è facile l’incontro con la cernia. In tali casi l’estrazione non risulterà delle più semplici, anche perché le tane, dopo lo sparo, tenderanno a divenire impenetrabili alla vista, anche con l’uso della torcia, a causa dell’enorme quantitativo di sedimento che inevitabilmente si andrà a sollevare. Una buona tecnica è quella di seguire le distese di grotto, fino a trovare la caduta esterna sulla sabbia. Qui, in talune zone, è possibile scovare paradisi sommersi come ormai non se ne vedono più. Nell’affrontare queste cadute, io preferisco affidarmi a un buon fucile, un 90 o di lunghezza maggiore. Questo perché le tane che si aprono sulle cadute esterne del grotto spesso sono molto profonde e costringono a un tiro lungo, oltre che può capitare la preda di mole, su cui servirà un’arma potente. Molta attenzione in tali casi va prestata al tiro, visto che tanta potenza potrà portare anche incagli definitivi dell’asta sulla roccia friabile, con conseguente perdita della stessa e … della preda!
Una caratteristica importante di queste aree, è che il grotto solitamente si interrompe sulla sabbia, per poi riprendere in piccole chiazze più avanti. La scoperta di queste zone è un vantaggio non da poco, ben lo sanno i garisti, visto che spesso sono vere e proprie oasi di vita su cui fermarsi e svolgere l’intera battuta di pesca. Prede molto comuni, oltre agli immancabili saraghi, alle corvine, a qualche orata, ai tordi e a qualche bella cernia, saranno anche i gronghi e le murene, in questo habitat particolarmente frequenti. Infine, dove sia zona, è su queste cadute esterne, o ai bordi di queste chiazze isolate di grotto, che potremo contare di incontrare la cernia bianca, uno dei pesci che maggiormente ama questo tipo di fondale. Il mio consiglio è di non perdere tempo ed essere veloci a scoccare il tiro nelle tane di grotto, perché una preda che si sposta, soprattutto se di mole, intorbidirà l’acqua a tal punto da dover spesso rinunciare a un tiro, che magari sarebbe facile, nell’impossibilità di scorgere la preda.
Proprio per questa peculiarità, l’esplorazione delle tane, come del resto conviene fare sempre dove possibile, andrà effettuata a testa in giù, con molta accortezza proprio a non sollevare il sedimento che oscurerebbe la vista. Anche gli stacchi dal fondo, andranno effettuati con attenzione, per evitare di lasciare dietro di noi una scia degna di un tornado, quindi andrà prestata particolare attenzione ai movimenti delle pinne.

• LA PARETE

La parete è uno degli ambienti di pesca che trasmette maggiore serenità al subacqueo, ma al contempo va affrontato con particolare attenzione e può mascherare situazioni potenzialmente pericolose.
Maggiore serenità perché il fatto di ventilarsi, spesso a stretto contatto con la linea costiera, infonde nel sub un senso di sicurezza. L’illusione di avere a portata di mano un punto di sicurezza e salvataggio in caso di pericolo. In effetti è così, ma questo potrebbe portare a sottostimare la pericolosità di determinate situazioni e a portarci a osare oltre il dovuto.
Di contro, la realtà è che spesso si pesca lungo pareti prive di appigli, impervie, a rischio anche di smottamenti franosi. Affrontata nella pesca in tana poi, presenta altri potenziali pericoli. Ad esempio non è raro imbattersi in sifoni e grotte che si espandono per parecchio all’interno della parete, quando non per qualche centinaio di metri. A volte affrontarle può rappresentare un serio rischio, sia per un’eventuale perdita di orientamento con conseguente smarrimento, sia per un’eventuale rottura della torcia, con difficoltà poi a ritrovare l’uscita. Inoltre, se l’incauto sub decidesse di avventurarsi all’interno, e si dovesse improvvisamente alzare mare, i rischi sarebbero incalcolabili e tangibili. Anzi, proprio parlando di mare mosso, questa sarebbe una situazione nella quale la pesca in parete andrebbe evitata. Il rischio di finire spiaccicati sulla roccia è effettivo, e i casi di sfortunati sub che hanno perso la vita per una simile eventualità purtroppo non sono pochi. Essere sbattuti violentemente sulla roccia e perdere i sensi, è qualcosa da tenere seriamente in considerazione. Così come anche il rischio di eventuali smottamenti del terreno. I bei massoni che andiamo ad esplorare alla base della parete, non li ha posizionali lì Polifemo, ma sono caduti dall’alto, sopra le nostre teste. E se frequentiamo spesso le stesse pareti, non avremo difficoltà a notare di tanto in tanto qualche nuovo massone, ben evidente anche per non essere ancora incrostato di alghe e apparire lucido e pulito. Ecco … pensate se fosse caduto al vostro passaggio! Quindi prudenza, e prima di avventurarci lungo una parete informiamoci circa la sua stabilità e sulle condizioni previste di mare, o rischieremo di dover aspettare i soccorsi appollaiati su qualche spuntone di roccia pericolante dove siamo stati costretti a un veloce rifugio.
Tornando a parlare di pesca in tana, io affronto la parete armato di un fucile medio lungo, un 90 o un 100. Questo perché spesso ci si trova in presenza di fenditure molto profonde, e il tiro potrebbe risultare abbastanza complesso. Mi concentro sulle fessure verticali nella roccia, solitamente scendo alla base e, armato di torcia e col fucile pronto al tiro, inizio a risalire lo spacco, pronto a colpire una eventuale preda. In tal modo, pur col rischio di maggiori difficoltà in fase di estrazione, in quanto estrarre un pesce colpito dal basso verso l’alto potrebbe presentare maggiori difficoltà, mi premuro che una preda avvistata non fugga velocemente verso il fondo, magari per uscire dalla fessura stessa e dileguarsi fuori della tana. Serpentiformi, saraghi, corvine e cernie, sono prede probabili da scovare, così come anche mustele, che in questo habitat sono sempre presenti, e spesso con esemplari di generose proporzioni.
Tuttavia le spacche che maggiormente cerco sono quelle orizzontali, a volte invisibili dalla superfice e per questo le più ricche di prede. Per trovarle faccio dei tuffi leggermente scostato dalla parete, e in risalita osservo attentamente la roccia nel tentativo di localizzarle. Sono queste tettoie quelle che regaleranno le maggiori soddisfazioni, oltre che saranno quelle, per la loro occultata conformazione, ad essere meno visitate da altri sub.
Se la parete non scende molto in profondità, a quote a noi irraggiungibili, molto interessante sarà visionare i massoni che inevitabilmente si accavallano ai suo piedi. Qui la cernia è pressoché scontata, se la zona fa questo serranide, viceversa potremo stare certi che grossi saraghi o qualche bella orata non mancheranno di farsi trovare disposi a seguirci a casa.
Massima attenzione anche alle profondità, se scendiamo radenti la parete di roccia, che ci infonde sicurezza, non ci vuole molto a superare i propri limiti, con tutte le conseguenze del caso. E se avvistiamo qualche grossa preda più in basso della nostra quota operativa, non disperiamo. Senza insistere e rischiare, segniamo la spacca, se di quelle verticali, e riproviamoci un altro giorno, magari all’alba, o al tramonto … chissà che il pescione in tali orari non faccia qualche spostamento verso l’alto. Del resto, se alcuni pesci preferiscono questi tagli verticali, è un po’ per lo stesso motivo che amano le franate, ossia per avere la possibilità, con degli spostamenti al coperto, di raggiungere con piccoli tragitti quote basse dove trovare acque più ossigenate e maggiori probabilità di nutrirsi.
Consiglio anche di evitare a priori il rischio delle grotte o dei profondi sifoni che si addentrano nella roccia. A meno di essere in zona incontaminata, qui nei nostri mari ormai la probabilità di catturare una preda importante è vicina allo zero. Mentre il rischio di incappare in qualche incidente ha di certo una percentuale maggiore. Certo, un tempo questi punti erano il regno delle corvine fuori misura, ma ormai non è più così, e rischiare ha poco senso.

• BARRIERE FRANGIFLUTTI

Quello delle barriere frangiflutti è un ambiente che, se saputo interpretare, può permettere di concludere una battuta di pesca con pesanti carnieri di pesce bianco.
Sono posti dove saraghi, cefali, spigole e orate risultano essere presenti in buona quantità, a patto di non essere disturbati a ritmo serrato.
Intanto chiariamo subito che prima di immergerci lungo una barriera frangiflutti va accertato che la zona non sia interdetta, o si rischiano pesanti sanzioni e sequestro dell’attrezzatura!
Accertato che sia possibile, analizziamo il tipo di barriera che abbiamo davanti, quindi decideremo come affrontarla. Dico questo, perché non tutte le barriere di massi sono uguali. Ci sono quelle create da ammassi di pietre da cava riportate a mare, quelle create con grossi blocchi quadrati di calcestruzzo, e quelle formate da un accatastarsi di tetrapodi, quei blocchi in calcestruzzo aventi tre estremità.
Inoltre, va accertato se la barriera emerge dall’acqua, oppure se è soffolta.
A seconda del tipo, cambierà il comportamento delle nostre prede e, di conseguenza, il nostro approccio in caccia.
Affrontando una barriera del primo tipo, quella in massi di pietra da cava, io opto per un fucile di piccole o medie dimensioni, un sessantino, o al massimo un 75. Rigorosamente armato di fiocina a 4 punte e, se col 60, con doppio elastico da 17.5, se col 75 col mono elastico da 18. Scelte personali, ovviamente, ma legate a un perché. In questo tipo di barriere, le tane saranno molto strette, spesso fessure di pochi centimetri, e multistrato. Certo, si potrà avere difficoltà su qualche preda di taglia maggiore e magari intanata un po’ più a fondo nella barriera, ma di norma il pesce lo si spara in strette spacche verticali, magari mentre si sposta nel dedalo di cunicoli sottostanti e ai quali noi non abbiamo accesso. Quindi i più saranno tiri veloci effettuati al volo, cosa che richiede grande brandeggiabilità e riflessi eccellenti.
La qualità primaria da mettere in gioco sarà il ritmo, apnee brevi con veloci tempi di recupero. In tali situazioni non è raro che in 6 ore di pesca si arrivi a sfiorare i 300 tuffi. Del resto, solitamente, si parla di pescare in 3-4 metri d’acqua. La torcia la uso molto, anche nello scorrere dall’alto le strette fessure, perché appunto il pesce spesso lo avvisteremo dall’alto, grazie al baluginio argenteo delle squame dovuto alla torcia, che ci permetterà di localizzarlo. Lo sparo dovrà essere rapido, o il pesce sparirà per sempre.
Il secondo tipo di barriera, invece, quella formata da grossi blocchi quadrati di calcestruzzo, in realtà è la meno preferita ai miei gusti. Le tane sono più ampie, e spesso il pesce tende a stare nei punti più profondi, troppo profondi per un fucile corto. Qui in genere uso un 75, o meglio un 90, munito di tahitiana e non di fiocina, considerato che il più delle volte si effettueranno tiri lunghi.
La torcia serve, ma va usata con moderazione, in quanto appena illuminati i pesci tenderanno a sparire dietro qualche angolo irraggiungibile anche dalla nostra vista.
In questi casi, io di solito attacco le aperture alla base della barriera, dove il fondo di sabbia, ricco di nutrimenti, fa da polo attrattivo per il pesce. Qualche bella spigola, o qualche oratona, in fondo a qualche spacca avente base in sabbia, è tutt’altro che un’evenienza remota!
Infine abbiamo il terzo tipo, quello che io gradisco maggiormente, e il cui approccio resta forse il più complesso, ma al contempo dove si potranno avere maggiori soddisfazioni. Parlo delle barriere costituite da tetrapodi, grossi blocchi tripolari, accatastati gli uni sugli altri, così da formare un enorme dedalo multistrato di cunicoli e cameroni. La tecnica che uso è un misto di pesca in tana, pesca all’agguato e pesca all’aspetto.
Il fucile che adopero è un 82 mono elastico, oppure un 90 sempre mono elastico. Scontata la tahitiana, considerate le alte probabilità di incontrare pesci di buona taglia e che il più delle volte si effettueranno tiri lunghi. Non adopero invece la torcia, essendo un orpello che ostacola i movimenti all’interno dei cunicoli e fonte di impiglio. Uso pinne molto flessibili e di lunghezza media o corta. Diciamo subito che si tratta di un tipo di pesca che solo un sub molto esperto, e con un’ottima acquaticità e self control può pensare di attuare. Viceversa, ci si esporrebbe a rischi assai alti e che certamente non vale la pena correre per catturare un pesce. In pratica, si entra da un’apertura che consenta il passaggio, e si striscia tra i massi, spingendosi con le pinne, o tirandosi con il braccio libero dal fucile. Si avanza con molta attenzione attorno, pronti a cogliere un’ombra o una sagoma che nel buio segnalerà la presenza della preda. Se si trova un punto dove appostarsi, e tenere d’occhio più cunicoli o cameroni, ci si ferma a fare un aspetto. Sovente vedremo giungere qualche bel cefalo o qualche spigola in caccia. Non raro l’incontro con interi branchi di questi pesci. Ricordo quanto accadutomi appena qualche anno fa in una barriera di siffatta conformazione. Trovato un angolo da cui vedevo un’ampia zona di corridoi illuminati da lame di luce che arrivavano dall’alto, vidi giungere dritto davanti alla punta del mio fucile un branco di una ventina di spigole. Sparai una, che di fatto si strusciò contro la punta del mio arbalete, peraltro non una delle più grosse, fulminandola. Non mi mossi neanche, e mi trovai attorniato dalle altre spigole che quasi mi si strofinarono addosso. Quindi, estasiato, risalii prima di affogare, con la spigola colpita. Al peso, risultò essere di 7,5kg. , in quel branco c’erano diversi pesci molto più grossi!!!
Per concludere, una nota sulla differenza di approccio da tenere se la barriera è emersa o soffolta. Nel primo caso avremo due situazioni completamente diverse tra il lato rivolto alla costa e quello verso il mare aperto, con la zona migliore ovviamente rivolta verso il mare. Nel secondo caso invece la situazione potrebbe anche essere al contrario, e comunque ci sarebbe una maggiore propensione delle prede a spostarsi dall’interno verso l’esterno della barriera in maniera uniforme.
Ritengo che ciò sia dovuto a come si dispongano le correnti in un caso e nell’altro, condizionando le attività dei pesci.
In ultimo un’avvertenza: mai affrontare una barriera di frangiflutti che non abbia alle spalle almeno una o due stagioni invernali di mareggiate. Alto infatti sarebbe il rischio di incappare in massi mal poggiati ed esporci a rischi facilmente immaginabili. Invece, dopo un paio di stagioni di mareggiate, potremo stare tranquilli che tutto è stabilizzato, e oltretutto i massi si saranno ricoperti di alghette e molluschi vari che, alla fine, sono il vero motivo della pescosità di tali siti.




• I RELITTI

Croce e delizia per il pescasub, i relitti rappresentano una tipologia di ambiente adatto alla pesca in tana così affascinante quanto complicato.
Per affrontarli è importante disporre di un elevato livello di esperienza. Un pescasub alle prime armi, soprattutto se parliamo di un relitto situato a quote importanti, magari distante dalla costa, difficilmente ci riuscirebbe a pescare, quand’anche solo a scendere. Con ogni probabilità si ritroverebbe senza fiato, con le gambe molli e in costante apprensione a guardarsi da tutti i lati. Dico ciò per esperienza, lo ho potuto constatare tante volte nel portare gente non avvezza a questo tipo di fondale. Anzi, in realtà spesso ho potuto constatare questa reazione pure in sub non proprio di primo pelo.
La prima cosa importante da tenere a mente, lo ricordo, è la sicurezza. Mai affrontare quest’ambiente se non pienamente concentrati e senza sapere ciò che si fa. Il rischio, dovuto alle lamiere erose dallo scorrere del tempo, non va mai sottovalutato, in particolare nell’affrontare questi spot con la tecnica della pesca in tana.
Certamente un relitto è un ambiente brulicante di vita, dove davvero potremo imbatterci in qualunque tipo di preda. A me è addirittura capitato di prendere una bella ricciola intanata tra le lamiere, ma ho amici che ci hanno catturato anche dentici enormi, tranquillamente occultati dentro tubi o sotto tettoie arrugginite. Questo perché spesso si tratta di piccole oasi in mezzo alla sabbia o al fango, e il predatore che ci transita, sovente, se il luogo è tranquillo, ci si ferma per diverso tempo grazie all’abbondanza di cibo. Ciò aumenta le possibilità di incontrare grosse prede in un momento in cui tengono la guardia abbassata.
Personalmente, in questo ambiente, prediligo un’arma lunga, anche se pesco in tana. Questo perché spesso ci si troverà a dovere azzardare tiri sulla lunga distanza sotto tettoie di lamiere molto profonde.
Chiaramente la torcia risulterà fondamentale, anche se, dove possibile, conviene sempre sfruttare il controluce offerto da tagli e fessure sempre presenti sul metallo. Molte volte però la preda sarà nelle zone più buie e macchinose da raggiungere.
Se il posto non è particolarmente sfruttato, potremo assistere a spettacoli mozzafiato d’altri tempi, con colonie di grossi saraghi che tranquilli si spostano tra le lamiere contorte.
Un relitto, più danneggiato è e più vita ospiterà, grazie alla presenza di labirinti di tane multistrato, complicate forse più di quelle che ci troveremmo ad affrontare su di una franata, ma che garantiranno agli amici pinnuti molta sicurezza.
Occorre sparare al pesce solo quando siamo certi di poterlo estrarre facilmente, o il rischio di rimetterci asta e preda sarà elevato.
Le tane andranno esplorate con attenzione, con particolare cura a dove ci andiamo a poggiare. Bisognerà guardarsi da spuntoni taglienti e forieri di impiglio per la nostra attrezzatura, ma anche a dove ci andiamo a infilare. Il pericolo del crollo di qualche lamiera ormai macerata dall’erosione, e che non sopporta magari il nostro urto su di essa, può davvero creare situazioni drammatiche. Inoltre, è soprattutto su questi siti che le reti e i lenzoni dei pescatori di superfice tendono ad ammassarsi nel tempo. Quindi, mettiamo massima concentrazione nel muoverci tra i rottami.
Evitiamo di caricarci troppo di orpelli che possano creare impiglio, e cerchiamo di pinneggiare senza sbattere le pinne da tutte le parti.
Infine, prima di immergerci su un relitto, informiamoci presso la locale Capitaneria di Porto. Spesso tali siti sono off limits e presentano divieto di ancoraggio e pesca. Nel caso di fermo, le multe sono salatissime!
Per esperienza, le tane migliori sono di solito sui confini esterni, dove le lamiere poggiano sul fango. Per riconoscerle, osserviamo bene i loro bordi, potremo identificare le culle sul fango che indicano il frequente passaggio di una probabile preda. Anche la ferraglia o i cavi che spesso sono poco distanti dal corpo vero e proprio del relitto, sono punti di massimo interesse, visto che è qui che a volte si possono trovare le migliori sorprese, come il grosso dentice imbucatosi sotto la lamiera o infilato dentro al tubo, così come la cernia bianca che si scava la tana sotto la paratia insabbiata!



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153 replies since 8/1/2009, 14:10   15641 views
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